Situata nel cuore del centro storico di Napoli, nei pressi di piazza San Domenico Maggiore, la Cappella Sansevero, detta anche “Santa Maria della Pietà” o “Pietatella”, con il suo Cristo Velato rappresenta un capolavoro d’arte di valore inestimabile.

Risulta impossibile, però, parlare di essa senza citare il suo ideatore: Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Un personaggio dalla poliedrica personalità, che fu, tra le tante cose, inventore, esoterico, alchimista, mecenate e gran maestro della Massoneria napoletana.

Infatti, benché l’origine della cappella risalga ai primi anni del 600 in seguito ad una leggendaria apparizione dell’immagine della Madonna, dell’assetto originale resta ben poco. E fu proprio Raimondo di Sangro che, negli anni ’40 del 700, riorganizzò interamente la Cappella con criteri del tutto nuovi e personali, dandole l’aspetto che possiamo ammirare oggi.

Con l’intento di rendere il mausoleo di famiglia degno della grandezza del suo casato, ingaggiò i più rinomati pittori e scultori del tempo in modo da arricchirlo con opere di grandissimo pregio. Ognuna di esse doveva svolgere una funzione precisa nel progetto iconografico da lui immaginato e probabilmente ignoto agli artisti stessi.

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Un’opera d’arte straordinaria: Il Cristo Velato

È in questo contesto che nacque uno dei maggiori capolavori scultorei mondiali, il Cristo Velato ad opera di Giuseppe Sanmartino.

Basti pensare che Antonio Canova, uno dei massimi esponenti della scultura, dichiarò che avrebbe dato dieci anni della sua vita pur di esserne l’autore e pare che abbia anche provato ad acquistarlo durante una sua visita a Napoli.

L’opera rappresenta il Cristo morto, a grandezza naturale, sdraiato su un materasso di marmo, ricoperto da un velo realizzato dallo stesso blocco della statua, che copre il corpo senza però celarlo. La maestria dello scultore sta proprio nella realizzazione del velo che lascia intravedere i segni del martirio subito, trasmettendo e anzi esaltandone il dolore e la sofferenza.

Questa magistrale resa del velo, tale da sembrare reale, ha alimentato la leggenda secondo cui esso fosse un vero velo di tessuto “marmorizzato” in seguito ad un procedimento alchemico, grazie alle conoscenze magiche del principe di Sansevero. Si dice anche che Raimondo di Sangro accecò Sanmartino per evitare che riproducesse per altri opere di tale grandezza. Ovviamente si tratta solo di leggende popolari, tra le tante che ruotano intorno alla particolare figura del principe di Sansevero.

Le opere scultoree più rilevanti della Cappella Sansevero e la loro simbologia

Raimondo di Sangro progettò la cappella seguendo un preciso progetto iconografico, che per la sua complessità non si presta comunque ad un’interpretazione chiara ed univoca. Ma possiamo sicuramente affermare che vi sono numerosi elementi decorativi che richiamano al culto massonico e all’esoterismo.

Il pavimento labirintico, che purtroppo è stato rimosso a causa di un’infiltrazione d’acqua avvenuta a fine 800 e di cui però sono state conservate alcune lastre, rappresentava il percorso che l’iniziato doveva compiere per raggiungere la conoscenza.

Le dieci statue raffiguranti le Virtù indicano il cammino spirituale che ogni uomo deve fare per raggiungere la comprensione e il perfezionamento di sé. Esse, intervallate ai monumenti funebri e celebrativi dei componenti della famiglia, sono dedicate alle mogli dei principi di Sansevero, ad eccezione delle due opere scultoree più importanti e significative della cappella insieme al Cristo Velato: la Pudicizia e il Disinganno.

La Pudicizia è dedicata alla madre del principe, Cecilia Gaetani dell'Aquila d'Aragona, che morì quando Raimondo non aveva compiuto nemmeno il primo anno di vita.

La statua rappresenta una donna completamente coperta da un velo semitrasparente, cinta in vita da una ghirlanda di rose e che mantiene con il braccio sinistro una lapide spezzata. Elementi, insieme all’albero della vita posto ai piedi della statua, che simboleggiano la morte prematura della principessa.

C’è inoltre un chiaro riferimento alla velata divinità egizia Iside, dea della fertilità e della scienza iniziatica e quindi simbolo della saggezza.

La Pudicizia è opera di Antonio Corradini e probabilmente ne rappresenta il suo capolavoro. Tuttavia egli morì lo stesso anno della sua realizzazione, nel 1752, come testimoniato sulla lapide. Corradini era anch’egli un massone e fu autore di molte bozze delle opere presenti nella cappella collaborando al progetto iconografico del principe. Sarebbe dovuto essere anche l’autore del Cristo Velato, ma il lavoro passò a Sanmartino in seguito alla sua morte.

Il Disinganno è invece dedicato al padre, Antonio di Sangro. Egli, in seguito alla morte della moglie, condusse una vita disordinata e dedita ai vizi, viaggiando per tutta l’Europa e lasciando il figlio Raimondo al nonno paterno. Divenuto anziano, tornò però a Napoli, pentito dei peccati commessi e dedicandosi ad una vita sacerdotale.

La scultura ritrae un uomo che si libera da una rete, che rappresenta il peccato. Viene aiutato da un putto, simbolo dell’intelletto umano, che indica il globo terrestre, simbolo della mondanità. La bibbia poggiata ai piedi del globo è l’elemento con cui ci si libera dal peccato, ovvero la fede. L’elemento che lascia sbalorditi è proprio la rete, che lo scultore Francesco Queirolo ha realizzato con un virtuosismo impeccabile.

Sul basamento del pilastro, l’episodio biblico di Gesù che dona la vista al cieco, probabile riferimento alla massoneria, in cui durante l’iniziazione gli aspiranti erano bendati per poi aprire gli occhi e comprendere la verità.

Il curioso esperimento delle Macchine Anatomiche

Un altro tra i maggiori punti d’interesse della cappella e tra i più curiosi esperimenti del principe di Sansevero, è rappresentato dalle Macchine Anatomiche, ovvero due scheletri, di un uomo e di una donna, completamente scarnificati e di cui è riprodotto nei minimi particolari tutto il sistema circolatorio. Posti all’interno di teche di vetro nella cavea sotterranea della cappella, furono realizzati dal medico palermitano Giuseppe Salerno.

Gli scheletri sono reali. Pare che la donna fosse deceduta durante il travaglio, a conferma di ciò era esposto ai suoi piedi un feto con i resti della placenta e del cordone ombelicale che però fu trafugato negli anni ’90.

L’apparato circolatorio, invece, ha destato parecchie dicerie in quanto la precisione della sua realizzazione stona con le conoscenze che si avevano all’epoca. Si diceva infatti che il principe tramite procedimenti alchemici avesse iniettato nei corpi di due suoi servi del liquido da lui creato capace di trasformare il sangue in metallo in modo da preservare l’intero sistema circolatorio.

Numerosi studi negarono quest’ipotesi, dimostrando che le vene e le arterie non sono reali, ma realizzate con cera, fili di ferro e fibre di seta.

La creazione e l’esposizione di queste macchine fu sicuramente a scopo didattico, ma di certo il fine ultimo del principe Raimondo era quello di stupire i visitatori, come ci dimostrano tutte le meraviglie presenti nella Cappella Sansevero.

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